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La nuda proprietà cresce e diventa «a termine».

Italcase.it
4 mar 2013
Circolari
Gli over65 occupano a titolo di godimento il 17,2% degli immobili in Italia. Molte di queste case sono state spogliate della nuda proprietà, il cui mercato negli ultimi tempi sta ricevendo grande impulso dalla crisi economica e dalla contrazione dei redditi. Le transazioni in nuda proprietà (che rappresentano il 5,14% del totale, stando agli ultimi relativi dati disponibili dell'Agenzia del Territorio, riferiti al 2011) vedono – secondo gli operatori – un calo degli atti tra familiari (per motivi successori e fiscali) e un aumento di quelli propriamente di mercato. A vendere, nella maggior parte dei casi (soprattutto al Nord e nelle grandi città) sono persone anziane che hanno scarsi legami con la famiglia, oppure sono privi di eredi diretti, e hanno bisogno di liquidità per continuare a mantenersi, conservando la disponibilità dell'immobile. Ed è per questo che quando si parla di nuda proprietà il pensiero va alla formula che prevede il mantenimento di un usufrutto (o diritto di abitazione) vitalizio del venditore.

Una scadenza certa
Ma il panorama sta registrando anche l'avanzata di venditori tra i 35 e i 50 anni che scelgono di "spogliare" la proprietà della casa e conservare un usufrutto a tempo determinato (dai 5 ai 10 anni). Alla base ci sono motivi strettamente economici. «Perché si tratta di una via d'uscita per chi non ce la fa a pagare il mutuo e torna quindi a vivere in affitto». «Oppure per chi ha debiti da sanare, una situazione lavorativa in pericolo, e sfrutta perciò l'unica risorsa a sua disposizione, quella immobiliare». La casa viene usata come una sorta di ammortizzatore sociale, in attesa di tempi migliori.
Ma a guidare questa scelta possono anche esserci altre ragioni, come un prossimo trasferimento all'estero. Prendiamo l'esempio di un immobile a Milano, dove a vendere è una coppia, lui italiano, lei straniera, che lavora in Italia ma ha in progetto di trasferirsi nel paese natale della signora. Viene previsto un usufrutto con scadenza a 5 anni. Il valore stimato per la piena proprietà è di 280mila euro, il prezzo richiesto 235mila (-15%). L'affare si conclude a 220mila euro. La coppia riesce così a reperire la liquidità necessaria per acquistare una casa nel paese di destinazione e saldare un residuo di mutuo pari a 30mila euro. L'acquirente investe e firma il contratto, perché vuole che suo figlio vada a studiare e poi lavorare a Milano. Dal suo punto di vista, il vantaggio è di conoscere in anticipo (perché il numero di anni è prefissato) la data in cui potrà disporre dell'immobile. Nel frattempo, lui è tenuto ad occuparsi solo delle spese straordinarie, perché quelle ordinarie - così come tutti gli oneri fiscali connessi all'immobile (Imu, rifiuti) - sono a carico degli usufruttuari. «Di solito il valore della nuda proprietà oscilla tra il 50 e il 70% della piena proprietà. Ma se c'è l'usufrutto a termine entra anche in gioco il fattore tempo: una scadenza più ravvicinata costa di più. Si può inoltre pattuire un valore aggiuntivo che l'acquirente dovrà pagare in caso di consegna anticipata del bene».

Pagamento a rate
Può anche concordarsi un pagamento a rate. La proprietà viene trasferita a un prezzo saldato in parte con un anticipo e in parte con mensilità definite, che possono essere annualmente indicizzate. E che in caso di morte del venditore continuano a esser pagate agli eredi, fino alla scadenza. Una specie di mutuo concesso dal venditore all'acquirente, senza l'ausilio di intermediari. O, d'altra parte, un investimento dilazionato nel tempo. L'estinzione del debito è indipendente dal godimento dell'immobile, che resta a beneficio del venditore fino alla scadenza del diritto di usufrutto (o abitazione).
Il ricorso a questa formula dipende dalle esigenze delle parti. Se il proprietario ha stretta necessità di vendere, in questo modo può forse trovare più facilmente un compratore disponibile. Pensiamo alla proprietaria di un immobile abitato dalla madre di 80 anni. Per far fronte alle crescenti spese di assistenza (badanti, infermieri, ecc.) mette in vendita la nuda proprietà riservando l'usufrutto vitalizio a beneficio della madre: richiesta 300mila euro. L'incontro con la domanda viene trovato a un prezzo di 145mila euro all'atto, più 120 rate mensili di mille euro: totale 265mila.

La rendita vitalizia
C'è poi anche la formula del pagamento con rendita vitalizia, più diffuso in Francia e ancora raro in Italia. Si tratta di un contratto aleatorio, perché non si può conoscere in anticipo il prezzo totale (come nell'esempio appena visto). Si versa un acconto, si stima una rendita mensile, ma il numero dei pagamenti dipende dalla sopravvivenza del venditore. Una "scommessa", dal punto di vista dell'acquirente (vitaliziante). Una probabile buona soluzione per il venditore anziano e senza eredi, che non ha bisogno di ottenere subito l'intera somma e preferisce quindi diventare vitaliziato. «Il problema è che la rendita vitalizia, ai sensi dell'articolo 50 del Dpr 917/86, è assimilata ai redditi da lavoro dipendente e tassata di conseguenza». Se uniamo l'aspetto fiscale a quello successorio (la rendita cessa alla morte del venditore) è preferibile il pagamento rateale.

Le garanzie
Per garantirsi dall'inadempienza dell'acquirente (che per vari motivi potrebbe non versare correttamente le rate) c'è lo strumento dell'ipoteca legale, che - se non viene esplicitamente esclusa nel contratto - è iscritta d'ufficio dal conservatore. In caso di mancato pagamento del prezzo, il venditore vede iscritta l'ipoteca legale per l'esatta somma della dilazione. Se il creditore non paga, e gli arriva un pignoramento, il venditore non viene penalizzato e all'eventuale asta avrà la prelazione. Lo svantaggio è che l'ipoteca legale sconta un'imposta del 2 per cento. Altra forma di garanzia è la fideiussione bancaria: ma in questo periodo di "stretta" da parte degli istituti, appare una soluzione difficilmente praticabile.

Fonte: Il Sole 24Ore